Di Giovanni Petrucci
Mi sento in imbarazzo a scrivere di Matrix. Lo ritengo un capolavoro epocale, sia per i temi trattati che per la realizzazione.
La recitazione, la trama, il clima dark e mistico, i costumi, i combattimenti, la musica, gli effetti speciali, insomma tutto.
Del resto, ammiro molto tutto il lavoro dei fratelli (ora sorelle) Wachowski.
Di tutte le migliaia di cose positive che potrei dire di questo film, vorrei portare alla vostra attenzione il concetto stesso di Matrix.
Non come “neurosimulazione interattiva”, ovviamente, ma come gabbia impalpabile in cui siamo rinchiusi.
A me sembra che ognuno di noi sia nella sua personale Matrix.
Ne parlavo pochi giorni fa con dei colleghi orientatori, a proposito dell’età.
Assistendo persone che cercano lavoro mi imbatto spesso in candidati “di una certa età” che mi dicono subito: “il mio problema è l’età”.
E fine dei giochi.
“Giovanni, il tuo lavoro è inutile perché sono troppo vecchio!”
“Giovanni è inutile che ci sbattiamo a cercare perché tanto le aziende vedono quel numerino sul CV (l’anno di nascita) e mi depennano!”
Questo è un esempio di gabbia, secondo me. O di self-Matrix se vi piace l’inglese.
Scopro per esperienza personale che molte aziende invece apprezzano l’esperienza, la competenza, l’etica che derivano da “una certa età”, e assumono anche “mummie” e “carampane” che non si sarebbero mai date una chance.
È ovvio che bisogna avere fatto un esame di realtà e vanno adottate una serie di strategie per facilitare il processo.
Ad esempio, è molto difficile essere assunti come manovali sopra i 50 anni, per limiti fisici abbastanza ovvi.
Ma non bisogna scoraggiarsi e soprattutto bisogna vedere la propria gabbia ed uscirne.
Per dirla come Morpheus: “Alcune regole possono essere eluse, altre infrante”.
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