Sii te stesso, ma non esagerare…

Dal carattere immodificabile alle abitudini migliorabili.

 

«Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» – Mahatma Gandhi

 

La parte positiva della storia di rimanere se stessi: stile personale, valori, coerenza.

La parte migliore della storia che ci raccontiamo dal titolo “l’importanza dell’essere se stessi” riguarda probabilmente il proposito di non imitare gli altri e cercare di sviluppare il nostro stile personale. O quello di non accettare di attuare comportamenti contrari ai propri valori per compiacere qualcuno, o quello di essere coerenti con le proprie idee. Tutti propositi lodevoli.

Se questi concetti vengono applicati in maniera incondizionata e non ragionata, però, rischiano a volte di portarci a un pensiero rigido e poco adattivo. Se una situazione mutando richiede una rivalutazione di una propria posizione o idea, restarvi ancorati potrebbe a volte rispondere più ad un desiderio estetico di non farsi cogliere incoerenti piuttosto che a un agire efficace. Ad esempio, nel film Invictus di Clint Eastwood, il giornalista chiede al presidente Mandela: “ho sentito dire che lei un tempo sosteneva chiunque giocasse contro gli Springbok”. La risposta: “Sì, ma ovviamente adesso non è più così, sono al cento per cento con i nostri campioni. D’altronde se io non sono in grado di cambiare quando le circostanze lo impongono, come posso chiedere agli altri di cambiare?”. In proposito, Ralph Waldo Emerson disse: “una sciocca coerenza è lo spauracchio delle piccole menti”. Nel caso di Mandela lo sport ha agito da “collante” tra opposte fazioni, e ha contribuito a sedare i contrasti interni in Sudafrica.

 

Attribuire un’azione al carattere può essere un alibi per non metterla in discussione.

Altre volte, la storia che raccontiamo agli altri e a noi stessi sull’importanza di non tradire noi stessi può nascondere un alibi per giustificare la mancanza di volontà di mettersi in discussione, o di provare a cambiare una nostra cattiva abitudine. Il che è comprensibile e umano, dato che è facile acquisire nuove abitudini, ma a volte arduo perderle o acquisirne di nuove. Non è nemmeno impossibile, dato che il genere umano dà continua prova di questa sua abilità, di cui la storia è piena. Non mettere mai in discussione o in dubbio il proprio agire (o una nostra opinione), può essere interpretato dagli altri come arroganza, come atteggiamento di chi pensa di sapere tutto o di essere sempre nel giusto.

Diciamo o sentiamo dire frasi come: “Sono impulsivo, ce l’ho nel DNA”. Più che prova della genetica, queste frasi informano sulle nostre competenze emotive, che per il teorico e divulgatore del concetto di intelligenza emotiva Daniel Goleman possono essere sviluppate e migliorate. Magari troviamo giustificazioni a certi nostri comportamenti, facenti parte per noi del nostro carattere, mentre non li tolleriamo quando messi in atto dagli altri.

Un dato carattere, in un certo momento della vita di una persona, può essere visto come un insieme di tante abitudini. Come ci ricorda lo psicoterapeuta Luca Mazzucchelli in Fattore 1%, il suo libro che parla di come le buone abitudini possano essere gradualmente acquisite, il loro studio fa parte della psicologia dai tempi di John Watson (1878-1958), che definì la personalità come prodotto finale di sistemi gerarchici di abitudini.

 

Ragioni, obiettivi, mettere per iscritto, monitorare, correggere il tiro.

Spesso vorremmo cambiare gli altri, perché è più facile pensarlo, ma non possedendo dei “poteri magici” è difficile entrare nella testa di qualcuno e comandargli di agire diversamente. Possiamo solo modificare il nostro modo di agire e comunicare con gli altri, o di reagire alle loro comunicazioni e azioni. L’autrice e conferenziera americana Marilyn Ferguson disse: “Nessuno può convincere un altro a cambiare. Ciascuno di noi è custode di un cancello che può essere aperto solo dall’interno. Noi non possiamo aprire il cancello di un altro, né con la ragione né con il sentimento”.

Possiamo essere costretti a cambiare in risposta alle emergenze e agli sconvolgimenti dell’ambiente esterno, oppure potremmo includere il nostro progetto di cambiamento nel nostro naturale crescere e imparare quotidiano. Spesso le persone sono desiderose di migliorare il loro modo di porsi con gli altri, ma non sanno come cambiare le proprie abitudini. Si potrebbe cominciare a definire un iniziale piano operativo, lungi dal voler ridurre tutto a una cosa semplice, consapevoli che ci sono diversi fattori che possono intervenire nel frenare il processo di cambiamento. Di seguito ecco qualche passo possibile.

Primo. Trova le tue ragioni.

Provate a trovare uno o più motivi per cui potrebbe essere per voi utile e importante perdere un’abitudine comunicativa (o altro) o acquisirne una nuova (avere dei rapporti più rilassati con gli altri, litigare di meno, avere più amici o relazioni più durature, etc.). Ognuno ha la sua ragione personalissima.

Secondo. Poniti un obiettivo.

Ponetevi come obiettivo un’abitudine nuova da implementare in un dato periodo (esempio: lavorate tutta una settimana su un’abilità).

Terzo: metti per iscritto il tuo obiettivo e dagli una scadenza.

Scrivere un obiettivo contribuisce a chiarirlo ed elaborarlo meglio, ad aumentare il senso di coinvolgimento, la motivazione interna e l’impegno percepito. Contribuisce inoltre a modificare l’immagine che abbiamo di noi e diminuisce la probabilità di dimenticarcelo. E’ utile inoltre dare una scadenza temporale di inizio per la mobilitazione delle risorse, e di fine per organizzare meglio nel tempo il suo raggiungimento.

Quarto: monitora i tuoi risultati e annotali ogni sera.

Se monitori un processo puoi correggere il tiro lungo la strada, consolidare gli apprendimenti, fare tesoro degli errori.

Quinto: chiediti come puoi accelerare i tuoi progressi in base alle lezioni apprese.

E’ normale e umano che capiti di scoraggiarsi lungo la strada: potete spezzettare o ricalibrare l’obiettivo se irrealistico, o ri-calendarizzare le scadenze, o rivalutate le ragioni adeguate a voi.

Tutti sanno che cambiare non è facile. Così come è difficile restare identici a come eravamo, ad esempio l’anno scorso, dopo tutte le cose che abbiamo imparato in questo anno di vita. Se ci pensiamo, comunque, ogni volta che pensiamo non siamo più gli stessi.

 

Giovanni Iacoviello

giovanni.iacoviello@gmail.com

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