articolo di Giovanni Petrucci
Vorrei condividere con voi questa mia esperienza di oggi per trarne qualche riflessione utile.
Ho bisogno di un prodotto “tecnico”. Non ne sono molto competente, quindi non lo ordino su internet ma vado in un punto vendita di una grande catena specializzata che promette competenza ed efficienza.
Chiedo ad una commessa, che mi consiglia un prodotto. Lo pago, lo porto a casa, lo provo: non funziona perché non si adatta agli standard.
Ritorno al negozio, una seconda commessa mi consiglia un altro prodotto, più costoso, che sicuramente fa al caso mio. Rendo il primo, pago la differenza, lo porto a casa, lo provo, non funziona per lo stesso motivo.
A questo punto sono un po’ scoccciato. Torno al negozio, parlo con la prima commessa che mi chiama un tecnico, che mi spiega che non ci sono santi: per gli standard che ho io non hanno prodotti compatibili, quindi o faccio senza o compro un prodotto più costoso ancora e che necessita di installazione specifica (a pagamento).
Decido di fare senza e mi reco alla cassa per rendere il prodotto e riavere i miei soldi (stiamo parlando di una cifra ridicola, intendiamoci!). La cassiera mi propone di scalarmi la cifra da un altro acquisto immediato o di darmi un buono d’acquisto valido sette mesi. Insisto che voglio il contante.
La cassiera a questo punto se ne lava le mani e chiama la responsabile.
A questo punto viene il bello. Spiego le mie ragioni riassumendogli i fatti ma la responsabile insiste che non mi può restituire il contante, non è politica aziendale. Io insisto, educatamente ma fermamente, che dopo avere perso tempo a parlare con commessi incompetenti il minimo che l’azienda può fare è restituirmi in contante invece di un buono d’acquisto.
Nel frattempo si sta formando un po’ di coda dietro di me, varie persone cominciano a guardare nella nostra direzione incuriositi e insofferenti.
La responsabile, che fino a questo punto era rimasta educata ma fredda, cessa di essere educata e in un minuto mi fa compilare un modulo di richiesta di rimborso, a cui segue il conteggio del contante e mi liquida con un “arrivederci” fra i denti e senza guardarmi in faccia.
Quindi… “ho vinto”!
Mi ha dato ragione e ho riavuto i miei soldi. La domanda è: perché non mi sento affatto felice?
Analizziamo velocemente la situazione: in una discussione la controparte ha dovuto cedere alle mie argomentazioni e mi ha dato soddisfazione, ma il mio vissuto è di avere perso tempo e interagito con persone incompetenti (può succedere a tutti, visto la complicatezza delle tecnologie moderne, non gliene faccio una colpa) e scostanti.
Dal mio punto di vista ho portato a casa una vittoria parziale, e la convinzione che non tornerò presto in quel negozio.
La responsabile cosa ha portato a casa? Ha “perso” perché ha dovuto restituire il contante ad un cliente (procedura esistente ma sconsigliata dalla politica aziendale) e ha allontanato il cliente da futuri acquisti per la sua poca (o assente) cortesia.
A mio parere questa responsabile ha perso ben di più: ha perso l’occasione di manifestare gentilezza ed empatia nei confronti di un cliente, offrendo fondamentalmente un cattivo servizio all’azienda.
Mi spiego: i prodotti in esposizione sono forniti dalla casa madre, buoni o cattivi che siano, ma il personale è lì per offrire un servizio al cliente, altrimenti l’azienda avrebbe aperto uno shop online.
Quindi secondo me questa responsabile ha confuso l’obbiettivo del suo lavoro “offri un buon servizio al cliente (che tornerà volentieri invece di acquistare su internet dalla concorrenza)” con “non darla vinta ad un cliente rompiscatole”.
Che ne pensate?
http://giovannipetrucci.tk/
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