“Le parole sono come pallottole”
Ludwig Wittgenstein
Perché dovrei misurare le mie parole? Perché non posso dire tutto quello che penso?
Il protagonista del film Bugiardo bugiardo, interpretato da Jim Carrey, non mantiene mai le promesse e suo figlio esprime il desiderio che per ventiquattro ore il papà dica la verità.
L’incantesimo si avvera, ed egli subisce una serie interminabile di guai. Ad esempio in una scena si trova nell’ascensore dell’ufficio in compagnia di una nuova assunta bella e prosperosa. Lei gli racconta che si trova benissimo in azienda perché tutti sono gentili con lei. Lui risponde che con “l’equipaggiamento” che si ritrova tutti gli uomini la trattano bene per forza, ricevendo un bello schiaffo.
Questo può suggerire che se le convenzioni sociali non ci “impedissero” di dire tutto quello che pensiamo sarebbe il caos: litigheremmo continuamente e feriremmo la gente, anche con pensieri più eleganti di quello espresso nel film.
Scontro tra sincerità e tatto.
La sincerità a tutti i costi? La sincerità’ è un valore importante. Il rispetto per le altre persone non lo è? La sincerità ha forse un’esigenza anche estetica, quella di “apparire” come quello che non ha problemi a dire quello che pensa?
Forse ci sono delle situazioni in cui questo ha un senso. In altre situazioni magari ha più senso pensare all’effetto che le proprie parole faranno sull’interlocutore. Nella libertà di pensiero e parola, troveremo prima o poi il confine tra il nostro spazio e quello dell’altro, e potremo allora decidere di dosare le “verità” da dire in base alle circostanze per non ferire i sentimenti altrui. Sempreché il nostro valore della sincerità non prevalga su quello del rispetto per gli altri.
Scontro tra generazioni e punti di vista.
Gli aspetti socio-culturali di un paese mutano nel tempo, quindi per forza di cose è probabile che il punto di vista di un genitore e di un figlio non convergeranno, e potrebbe pure essere deleterio per l’adattamento sociale di un figlio se fosse il contrario: egli potrebbe venire emarginato come un ragazzo che “pensa come un vecchio”.
Andrea Fiorenza, psicoterapeuta che si occupa di famiglie, educazione e genitorialità, ha sottolineato come, nelle discussioni con i figli, la maggior parte delle volte si perde, e, quando va bene si pareggia, ma non si vince mai. Nelle discussioni si fanno valere le proprie ragioni razionalmente, ma emotivamente la tipica reazione adolescenziale ad un’imposizione è il rifiuto o l’invito a fare il contrario. L’effetto del “bastian contrario” si vede anche nelle età più tenere in cui i bambini si vedono limitati nella loro esplorazione dell’ambiente o privati delle loro cose. Ma anche nell’età adulta c’è a maggior ragione un rifiuto nell’accettare che il genitore ci dica come “stanno le cose” o ci dia consigli, perché non siamo più bambini. La stessa cosa vale pure quando il figlio adulto impone la sua visione o fa la predica al genitore anziano.
La comunicazione è un’azione che mette in comune i punti di vista di due interlocutori, creando una terza “mappa del mondo” fatta con i pezzi condivisi delle mappe dei dialoganti. Per questo ripensare alle parole e al modo in cui vengono dette ad un figlio o ad un genitore può essere utile per migliorare i propri rapporti. E questo non solo in famiglia.
Perché dovrei misurare le mie parole?
Perché no?
Giovanni Iacoviello
… l’appuntamento è per giovedì prossimo…
Tutto vero.Tra persone con cui si può parlare,ragionare.Ma se uno ti provoca?O vivi in mezzo a gente che e abituata a omettersi le cose reciprocamente,a raccontarsi bugie su bugie..da una vita intera?A chi non verrebbe voglia di sbattere la verità in faccia a tutti?Sono una sostenitrice della sincerità’,qualche balla la dico raramente se indispensabile,ma di solito sono fastidiosamente e antipaticamente sincera.Non nego che mi fa riflettere quello che dici a proposito del confine tra sincerita’e rispetto per gli altri,e sul fatto che la prima sia
vestita di..narcisismo?
vestita di
Ciao Monica,
grazie del commento. Son d’accordo, se uno ti provoca immagino che non sia semplice controllare la propria reazione, o incassare senza battere ciglio, o farsi scivolare addosso la provocazione. Però probabilmente nemmeno impossibile. Lo scrittore Aldous Huxley disse: “La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade”. Quando si litiga si è sempre almeno in due, e non so in quei momenti se veniamo solo provocati o qualche volta provochiamo anche a nostra volta. Di come vivono gli altri intorno a noi e di come si comportano, possiamo scegliere di giudicarli, oppure no. Forse possiamo rendere conto alla fine più delle nostre azioni che di quelle altrui.
Bravo Giovanni… ma è difficile da mettere in pratica per chi dice sempre la verità….io il tuo discorso lo riassumo in due parole : meglio una bella bugia o una brutta vertità? Io sono sempre stato per la brutta verità anche se al primo momento sembra un offesa ma l obiettivo è fare del bene al prossimo e fargli aprire gli occhi,col tempo mi sono accorto che la società ti “etichetta” come rompiscatole e maleducato preferendo continuare ad “ignorare”(o non vedere)….. Per rendere tutti felici e contenti ci sto lavorando su anche se è molto difficile per una persona che è più sincera del BAFFO della Moretti!
ciao.
Bella domanda che hai fatto Fabio… ti risponderei anche che può essere una buona abitudine dire la propria “verità”, però se qualche volta facciamo uno sforzo per non dire tutto quello che pensiamo non facciamo un torto a nessuno, anzi magari provochiamo del risentimento inutile in meno. Non dire tutto quello che si pensa non vuol dire dire una bugia, tra l’altro, ma solo pensare prima di parlare e scegliere le parole con le quali comunicare. Forse è questo il senso più utile di “misurare” le parole… Alla tua domanda non saprei rispondere… probabilmente in alcune situazioni è più utile una brutta verità e in altre il contrario… la complessità sta nel valutare le situazioni, e l’essere umani rende conto dell’impulsività, ma anche della saggezza acquisita con gli errori fatti… Quando diciamo qualcosa a qualcuno per il suo bene è un gesto nobile, a volte però otteniamo un altro effetto, non voluto, anche perché non è detto che il nostro “bene” coincida con il suo. Grazie per l’utile riflessione