Si possono trasformare le critiche in risorse? – ultima parte

Più stupido lo stupido o chi dice stupido allo stupido?

Al di là del fatto che esista o meno una vera intelligenza misurabile con test non influenzati culturalmente (provate a stabilire quanto è intelligente l’indigeno che non ha risposto alle domande di un test e quanto è “stupido” uno studente dotato di 160 di Q.I. nel districarsi e sopravvivere in una foresta sperduta nel mondo), anche grazie agli studi neurofisiologici sulla plasticità neurale non si potrebbe affatto sostenere che l’intelligenza sia totalmente innata. Piuttosto, più si pratica una materia o disciplina, e più la si impara, e più l’impressione degli osservatori è che noi siamo molto intelligenti e abili, o dotati, mentre le rappresentazioni neurali e le sinapsi relative si incrementano. Quindi sarebbe più plausibile l’affermazione che siamo tutti intelligenti in quello che sappiamo fare meglio, più di altri che lo fanno male, e meno di quelli che sanno fare qualcosa che a noi non riesce, ma solo in quella cosa.

E non esiste anche un’intelligenza sociale? Un set di abilità sociali sviluppate, tatto, diplomazia, buona comunicazione? E allora se ci fosse effettivamente una persona stupida, e un’altra gli e lo esplicitasse a parole, quest’ultima sarebbe più “stupida” dal punto di vista sociale, per il motivo che appare sconveniente e maleducato dare giudizi negativi espliciti sull’interlocutore. Per questo un giudizio di stupidità dato da un “socialmente stupido” perderebbe di credibilità. A questo proposito viene in mente l’opera teatrale pirandelliana Il berretto a sonagli, nella quale la signora Beatrice manda via per una commissione lo scrivano Ciampa per far sorprendere al commissario l’adulterio del proprio marito con la moglie di lui, incurante del fatto di rendere così pubblico lo scandalo e infangando le tre persone, oltre che se stessa. Il Ciampa le fa notare che solo da “pazza” può dire in faccia alla gente la “verità”.

Ci sono casi in cui le persone criticano aspetti che non possiamo cambiare, come il colore della pelle, l’altezza, e così via, così che se mai fossero vere le critiche, noi non potremmo fare niente per cambiare la situazione, né avrebbe senso farlo. In questo caso la nostra reazione potrebbe spostarsi dal nostro presunto difetto al difetto sociale dell’altra persona. E’ questa che si dovrebbe imbarazzare per la sua inettitudine. Se noi rispondiamo a tale critica con umorismo, diventa meno interessante prenderci ancora in giro e punzecchiarci per chi voleva sortire l’effetto di ferirci. Se sappiamo prenderci in giro da soli, diventiamo anche più gradevoli e simpatici, e a nostra volta più abili socialmente.

 

Le possibili risorse e opportunità dietro a una critica.

Quando invece i difetti possono derivare dalla nostra mancanza di volontà, vale sempre la pena di chiederci se dietro la critica, nonostante sia in difetto il cattivo comunicatore che abbiamo davanti, possiamo trovare un’opportunità per migliorare. E allora, da una parte possiamo diventare sempre più bravi a gestire i commenti negativi abbassando le nostre reazioni emotive, come una ginnastica “emotiva” di cui i negoziatori sono abili, per la semplice evidenza del fatto che chi è più calmo ha maggiore potere negoziale di chi è turbato emotivamente. Dall’altra, potremmo valutare quello che possiamo fare per migliorare quell’aspetto criticato, come ad esempio la pigrizia.

Se mi risento troppo di una critica, ottengo il risultato di sottrarre l’energia disponibile per migliorare sprecandola per le cattive emozioni. Potrei cadere nel circolo vizioso del “perché sono così meschino?”. Il formatore Robert Dilts faceva notare che, se non siamo nel campo della medicina, in cui una malattia si cura dopo che si è trovata la causa, come un batterio o una disfunzione genetica, ma siamo nel campo dei problemi umani, la domanda “perché” non è utile perché fa concentrare sul problema piuttosto che sulla soluzione. Per trovare soluzioni, invece, sono ottime le domande “come”. Così, per Dilts, soprattutto per un nostro difetto, che potrebbe essere rivalutato come “area di miglioramento”, le migliori domande sarebbero “cosa posso imparare da questo errore?” o “come posso fare in modo che questa mia carenza diventi un punto di forza e io possa migliorare in questo aspetto della mia vita?”. Le risposte a queste domande sono dei progetti di auto-miglioramento per obiettivi concreti, dove invece le domande “perché” ci facevano solo “piangere addosso” in maniera sterile. Se colgo positivamente una critica, e cerco di vedere se è in mio potere migliorarmi in un aspetto, allora potrò utilizzare proficuamente quell’energia che altrimenti sprecherei nel risentimento. Come diceva lo scrittore Aldous Huxley: “La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade”. E allora la vita sarebbe accogliere le critiche con umorismo quando riguardano aspetti immodificabili di noi, aggiungendo magari la buona volontà di migliorarci e la fissazione di un obiettivo quando la cosa dipende da noi ed è nostro desiderio cambiare, ringraziando qualche volta quei “pazzi pirandelliani” o “inetti sociali” che ci criticano per avere evidenziato una nostra area di miglioramento e per l’opportunità di crescere.

Giovanni Iacoviello

giovanni.iacoviello@gmail.com

 

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