Il giudizio e le critiche.
“La tendenza a giudicare gli altri è il più grande ostacolo alla comprensione e all’ascolto”.
Carl Rogers, psicologo.
Critiche: funzioni negative e positive.
Dietro alla parola “giudicare” usata da Rogers parrebbe esserci una connotazione negativa, forse riferendosi l’autore alle critiche improduttive, al puntare il dito su difetti e differenze. Potremmo però anche rilevare delle situazioni in cui c’è una sfumatura semantica positiva nella parola: il giudizio in quei casi potrebbe essere una valutazione in senso lato e, perché no, anche positivo.
Anche se la connotazione del giudizio fosse negativa, però, non è detto che non se ne possa guadagnare qualcosa. Di per sé la critica verso l’altro è una strategia comunicativa fallimentare, come hanno indicato a inizio ‘900 il formatore Dale Carnegie e ai giorni nostri lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel libro “Correggimi se sbaglio”, al di là dei possibili intenti “positivi” che possono motivare tale azione. Questo perché criticare l’altro lo può ferire o mettere sulla difensiva, suscitare risentimento e far chiudere in lui il canale dell’ascolto, nonché guastare la relazione almeno in un certo momento o situazione.
La nostra reazione alla critica.
Se il buon comunicatore è quello che ha abbandonato e cerca di usare il meno possibile la comunicazione fallimentare (come il criticare), è anche quello che ha imparato ed affina l’abilità di reggere il colpo alle critiche che gli vengono fatte, gestendo le reazioni emotive.
Dietro alla nostra reazione emotiva diretta (rabbia, imbarazzo, paura, vergogna, risentimento) possono esserci o fastidio verso chi si arroga il diritto di mettersi sul piedistallo e giudicare, o risentimento perché la nostra visione del mondo non viene riconosciuta, o uno smacco all’immagine che abbiamo di noi, in quanto vogliamo essere all’altezza della situazione e accettati quindi socialmente, o soddisfatti, se vogliamo parlare nei termini della scala dei bisogni dello psicologo Abrahm Maslow, nei nostri desideri di stima, affetto e autorealizzazione.
Dietro alle emozioni suscitate da una critica potrebbe pure esserci un indizio del nostro funzionamento, e cioè in alcuni casi la nostra resistenza al cambiamento. Da una parte un’area non nota come quella del cambiamento ci spaventa, dall’altra costa fatica cambiare qualcosa delle nostre abitudini. Una critica, quindi, potrebbe essere rifiutata con forza e farci soffrire, e potremmo reagire ingaggiando una lotta con l’interlocutore sulle nostre divergenti visioni del mondo, o infastidirci al pensiero che chi ci giudica possa pensare di essere migliore di noi. Rifiutando la critica, spesso implicitamente rifiutiamo tale presunta superiorità dell’altro.
…a giovedì prossimo per l’ultima parte…
Giovanni Iacoviello
giovanni.iacoviello@gmail.com
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