Essere se stessi… vuol dire cambiare? – ultima parte

Sii fedele a te stesso… e combatti il mondo sbagliato e ipocrita?

Non cambiamo mai idea, non rivediamo mai le nostre scelte, non consideriamo mai il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi. Il prezzo non è alto: conflitti frequenti e incapacità di risolverli, diminuzione degli amici che ci sopportano, che ci danno ragione per sfinimento e ci lasciano vincere negli argomenti, anche se siamo noi a perderci nelle relazioni interpersonali, se non a perdere qualche relazione.

E’ nelle conversazioni comuni la considerazione che vedere solo il bianco e il nero porta a rigidità di pensiero e alla mancanza di adattamento e flessibilità. Spesso il bianco è il nostro punto di vista, quello giusto, e il nero è l’opinione contraria, di chi pensiamo in malafede. L’alternativa al pensiero dicotomico, che ci fa dividere tutto in due sole categorie, è il vedere le varie sfumature di ogni situazione e le varie opzioni di ogni scelta, relazione, negoziazione. A volte le nostre convinzioni limitano il nostro agire. Proprio nate e fiorite per favorirci, quando troppo rigide e non adattate alle situazioni, possono portare a danneggiarci.

Da uno dei cinque pilastri degli studi sulla pragmatica della comunicazione di Palo Alto, in California, emerge che la natura di una relazione dipende da come essa è stata “punteggiata”, cioè come viene vista la sequenza dei messaggi dai relativi interlocutori. Un marito potrebbe ad esempio “punteggiare” la situazione con la moglie dicendo che non può che chiudersi in se stesso perché ella brontola. La moglie per contro potrebbe mettere la punteggiatura da un’altra parte: lei brontolerebbe perché lui si isola. Ognuno con tali spiegazioni parrebbe quindi negare la propria responsabilità nella creazione del conflitto, che vedrebbe invece causato dall’agire dell’altro. Potremmo identificare a questo livello vari modi in cui possiamo contribuire a creare conflitti:

1)    Negare la responsabilità degli effetti della nostra comunicazione;

2)    Credere in una sola realtà che corrisponde a come vediamo le cose noi;

3)    Considerare l’altro irrazionale o in cattiva fede quando non d’accordo con noi;

4)    Credere di non sbagliare mai e non rivedere mai le nostre opinioni.

Sull’argomento è interessante attingere direttamente dallo psicoterapeuta Paul Watzlawick, quando nel libro dal titolo provocatorio Istruzioni per rendersi infelici consigliava ironicamente di essere fedeli a se stessi: “auree massime ci mostrano la strada per l’infelicità; esse sono fissate dal sano buon senso, per non parlare della sana sensibilità popolare […] Si tratta in fondo della convinzione per cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio. Si pervenga una volta a questa convinzione e ben presto si dovrà concludere che il mondo sta andando in rovina […] Chi rimane fedele a se stesso e ai propri principi non è disposto a nessun facile compromesso; posto di fronte alla scelta tra l’essere e il dover essere, egli decide incondizionatamente per il mondo come deve essere e rifiuta il mondo quale esso è. Come un capitano, egli guida con fermezza la nave della propria vita nella notte tempestosa, una nave che anche i topi hanno abbandonato […] Nella preoccupazione di essere fedele ai propri principi, finisce per rifiutare continuamente ogni cosa, perché non rifiutare significherebbe già tradire se stesso. Il semplice fatto che il prossimo gli consigli qualcosa è quindi un motivo per rifiutare, anche nel caso in cui seguire tale consiglio sarebbe oggettivamente nel suo stesso interesse”.

Se l’etimologia della parola comunicare suggerisce un’azione con la quale si mette in comune la conoscenza, allora dalla condivisione dei relativi punti di vista degli interlocutori dovrebbe derivare un’ulteriore punto di vista comune del mondo, arricchito rispetto ai precedenti. Quindi anche quando comunichiamo cambiamo qualcosa di noi.

Forse estremizzando, ogni volta che pensiamo non siamo più gli stessi, dato che distruggiamo l’immobilità delle cose com’erano nel nostro mondo prima di quel guizzo creativo.

Se la pluralità dei sé dell’attore sociale nei suoi contesti molteplici rappresenta la normalità rispetto ad un modello ideale di persona immutabile, il consiglio di essere se stessi inteso rigidamente può portare, contrariamente alle apparenze, ad un comportamento innaturale. E’ infatti più naturale per ognuno variare comportamento e abitudini nelle varie situazioni e nel tempo, in seguito alle esperienze lungo il nostro cammino. Come diceva il filosofo greco antico Eraclito: “Nulla è permanente, tranne il cambiamento”.

 

Giovanni Iacoviello

giovanni.iacoviello@gmail.com

Vuoi organizzare un corso di formazione presso la tua azienda? Contattaci per valutare insieme le esigenze formative e gli obiettivi: info@gipcomunicazione.it

 

 

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*
*
Website

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>