Si possono trasformare le critiche in risorse? – ultima parte

Più stupido lo stupido o chi dice stupido allo stupido?

Al di là del fatto che esista o meno una vera intelligenza misurabile con test non influenzati culturalmente (provate a stabilire quanto è intelligente l’indigeno che non ha risposto alle domande di un test e quanto è “stupido” uno studente dotato di 160 di Q.I. nel districarsi e sopravvivere in una foresta sperduta nel mondo), anche grazie agli studi neurofisiologici sulla plasticità neurale non si potrebbe affatto sostenere che l’intelligenza sia totalmente innata. Piuttosto, più si pratica una materia o disciplina, e più la si impara, e più l’impressione degli osservatori è che noi siamo molto intelligenti e abili, o dotati, mentre le rappresentazioni neurali e le sinapsi relative si incrementano. Quindi sarebbe più plausibile l’affermazione che siamo tutti intelligenti in quello che sappiamo fare meglio, più di altri che lo fanno male, e meno di quelli che sanno fare qualcosa che a noi non riesce, ma solo in quella cosa.

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Si possono trasformare le critiche in risorse?

Il giudizio e le critiche.

 

“La tendenza a giudicare gli altri è il più grande ostacolo alla comprensione e all’ascolto”.

Carl Rogers, psicologo.

 

Critiche: funzioni negative e positive.

Dietro alla parola “giudicare” usata da Rogers parrebbe esserci una connotazione negativa, forse riferendosi l’autore alle critiche improduttive, al puntare il dito su difetti e differenze. Potremmo però anche rilevare delle situazioni in cui c’è una sfumatura semantica positiva nella parola: il giudizio in quei casi potrebbe essere una valutazione in senso lato e, perché no, anche positivo.

Anche se la connotazione del giudizio fosse negativa, però, non è detto che non se ne possa guadagnare qualcosa. Di per sé la critica verso l’altro è una strategia comunicativa fallimentare, come hanno indicato a inizio ‘900 il formatore Dale Carnegie e ai giorni nostri lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel libro “Correggimi se sbaglio”, al di là dei possibili intenti “positivi” che possono motivare tale azione. Questo perché criticare l’altro lo può ferire o mettere sulla difensiva, suscitare risentimento e far chiudere in lui il canale dell’ascolto, nonché guastare la relazione almeno in un certo momento o situazione.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – ultima parte

Sii fedele a te stesso… e combatti il mondo sbagliato e ipocrita?

Non cambiamo mai idea, non rivediamo mai le nostre scelte, non consideriamo mai il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi. Il prezzo non è alto: conflitti frequenti e incapacità di risolverli, diminuzione degli amici che ci sopportano, che ci danno ragione per sfinimento e ci lasciano vincere negli argomenti, anche se siamo noi a perderci nelle relazioni interpersonali, se non a perdere qualche relazione.

E’ nelle conversazioni comuni la considerazione che vedere solo il bianco e il nero porta a rigidità di pensiero e alla mancanza di adattamento e flessibilità. Spesso il bianco è il nostro punto di vista, quello giusto, e il nero è l’opinione contraria, di chi pensiamo in malafede. L’alternativa al pensiero dicotomico, che ci fa dividere tutto in due sole categorie, è il vedere le varie sfumature di ogni situazione e le varie opzioni di ogni scelta, relazione, negoziazione. A volte le nostre convinzioni limitano il nostro agire. Proprio nate e fiorite per favorirci, quando troppo rigide e non adattate alle situazioni, possono portare a danneggiarci.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – parte seconda

Apprendimento, esperienze nuove, improvvisazione e creatività.

“A 20 anni come a 80, chi cessa di imparare è un vecchio, chi continua ad imparare è giovane. La cosa più importante nella vita è questa: mantenere elastica la mente” – Recitava Henry Ford.

A volte la paura viene affrontata evitando ciò che temiamo. Questo può portare però a dei rimpianti, come ad esempio alla mancata possibilità di apprendere cose nuove, “cambiare marcia” nella vita o nel lavoro e allargare la nostra “area di comfort”, quell’insieme di luoghi e situazioni in cui ci muoviamo a nostro agio, soprattutto perché ne abbiamo esperienza e abbiamo quindi la consapevolezza di poterli gestire.

A volte la credenza di avere raggiunto la perfezione in una data arte e l’eccessiva sicurezza su un argomento possono portare a pensare che non abbiamo bisogno di apportare più nulla ai nostri saperi e alle nostre abilità. E con questo atteggiamento potremmo precluderci potenziali nuove esperienze, appaganti e arricchenti, e limitare la nostra crescita personale e professionale. Quando ci sentiamo troppo sicuri su un dato argomento o abilità, forse è il momento in cui siamo più vulnerabili e meno adattabili ai cambiamenti.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – parte prima

“La testa è rotonda per permettere al pensiero di cambiare direzione”

Francis Picabia

 

 

La libertà di poter essere se stessi attraverso il proprio cambiamento.

Riporto il pensiero di una mia amica, Jazmin: “essere se stessi vuol dire perseguire i propri valori e desideri, e io desidero migliorarmi. E posso farlo solo cambiando”.

Si parla e predica spesso dell’importanza di essere se stessi. Ciò corrisponde ad un modello di comportamento etico preciso, oppure è una formula che ripetiamo in maniera non ragionata attingendo da senso comune, cinema e Tv, perdendone di vista le sfumature semantiche e le conseguenze comportamentali possibili? In che genere di mondo è vera un’affermazione?

Le credenze guidano i nostri comportamenti, e credenze in contraddizione tra di loro o rigide possono limitare il nostro agire. A volte alcune nostre affermazioni sono vere per noi o utili intese in un senso in un certo numero di situazioni, e dannose in un senso diverso in altre. Potremmo intendere modi positivi (o efficaci per i nostri obiettivi personali) di essere noi stessi, legati ad esempio al coltivare il nostro stile personale e a non imitare pedissequamente qualcuno, e modi meno utili, legati ad esempio alla rigidità del nostro punto di vista.

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