Le obiezioni… qualcosa di personale?

La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade

Aldous Huxley

 

Le obiezioni: pericolose nemiche o nostre alleate? Anche se non siamo venditori o non ci occupiamo di pubbliche relazioni, possiamo sostenere che non ne incontriamo sul nostro cammino extraprofessionale, rivolte a noi o alla nostra idea? Il venditore e il cliente non sono ancora delle persone, con le loro emozioni, e il loro lato relazionale in gioco?

Partiamo dal contesto della vendita, indicando le parole del formatore Cesare Sansavini: “I più grandi venditori hanno l’abilità di trasformare le domande più ostili in opportunità di vendita”.

Se non sentiamo l’esigenza di convincere o persuadere qualcuno della bontà della nostra idea solo nella vendita, ma in svariate situazioni nella vita quotidiana, allora questo non è un problema solo commerciale, ma genuinamente umano.

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Si possono trasformare le critiche in risorse?

Il giudizio e le critiche.

 

“La tendenza a giudicare gli altri è il più grande ostacolo alla comprensione e all’ascolto”.

Carl Rogers, psicologo.

 

Critiche: funzioni negative e positive.

Dietro alla parola “giudicare” usata da Rogers parrebbe esserci una connotazione negativa, forse riferendosi l’autore alle critiche improduttive, al puntare il dito su difetti e differenze. Potremmo però anche rilevare delle situazioni in cui c’è una sfumatura semantica positiva nella parola: il giudizio in quei casi potrebbe essere una valutazione in senso lato e, perché no, anche positivo.

Anche se la connotazione del giudizio fosse negativa, però, non è detto che non se ne possa guadagnare qualcosa. Di per sé la critica verso l’altro è una strategia comunicativa fallimentare, come hanno indicato a inizio ‘900 il formatore Dale Carnegie e ai giorni nostri lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel libro “Correggimi se sbaglio”, al di là dei possibili intenti “positivi” che possono motivare tale azione. Questo perché criticare l’altro lo può ferire o mettere sulla difensiva, suscitare risentimento e far chiudere in lui il canale dell’ascolto, nonché guastare la relazione almeno in un certo momento o situazione.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – ultima parte

Sii fedele a te stesso… e combatti il mondo sbagliato e ipocrita?

Non cambiamo mai idea, non rivediamo mai le nostre scelte, non consideriamo mai il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi. Il prezzo non è alto: conflitti frequenti e incapacità di risolverli, diminuzione degli amici che ci sopportano, che ci danno ragione per sfinimento e ci lasciano vincere negli argomenti, anche se siamo noi a perderci nelle relazioni interpersonali, se non a perdere qualche relazione.

E’ nelle conversazioni comuni la considerazione che vedere solo il bianco e il nero porta a rigidità di pensiero e alla mancanza di adattamento e flessibilità. Spesso il bianco è il nostro punto di vista, quello giusto, e il nero è l’opinione contraria, di chi pensiamo in malafede. L’alternativa al pensiero dicotomico, che ci fa dividere tutto in due sole categorie, è il vedere le varie sfumature di ogni situazione e le varie opzioni di ogni scelta, relazione, negoziazione. A volte le nostre convinzioni limitano il nostro agire. Proprio nate e fiorite per favorirci, quando troppo rigide e non adattate alle situazioni, possono portare a danneggiarci.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – parte seconda

Apprendimento, esperienze nuove, improvvisazione e creatività.

“A 20 anni come a 80, chi cessa di imparare è un vecchio, chi continua ad imparare è giovane. La cosa più importante nella vita è questa: mantenere elastica la mente” – Recitava Henry Ford.

A volte la paura viene affrontata evitando ciò che temiamo. Questo può portare però a dei rimpianti, come ad esempio alla mancata possibilità di apprendere cose nuove, “cambiare marcia” nella vita o nel lavoro e allargare la nostra “area di comfort”, quell’insieme di luoghi e situazioni in cui ci muoviamo a nostro agio, soprattutto perché ne abbiamo esperienza e abbiamo quindi la consapevolezza di poterli gestire.

A volte la credenza di avere raggiunto la perfezione in una data arte e l’eccessiva sicurezza su un argomento possono portare a pensare che non abbiamo bisogno di apportare più nulla ai nostri saperi e alle nostre abilità. E con questo atteggiamento potremmo precluderci potenziali nuove esperienze, appaganti e arricchenti, e limitare la nostra crescita personale e professionale. Quando ci sentiamo troppo sicuri su un dato argomento o abilità, forse è il momento in cui siamo più vulnerabili e meno adattabili ai cambiamenti.

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Essere se stessi… vuol dire cambiare? – parte prima

“La testa è rotonda per permettere al pensiero di cambiare direzione”

Francis Picabia

 

 

La libertà di poter essere se stessi attraverso il proprio cambiamento.

Riporto il pensiero di una mia amica, Jazmin: “essere se stessi vuol dire perseguire i propri valori e desideri, e io desidero migliorarmi. E posso farlo solo cambiando”.

Si parla e predica spesso dell’importanza di essere se stessi. Ciò corrisponde ad un modello di comportamento etico preciso, oppure è una formula che ripetiamo in maniera non ragionata attingendo da senso comune, cinema e Tv, perdendone di vista le sfumature semantiche e le conseguenze comportamentali possibili? In che genere di mondo è vera un’affermazione?

Le credenze guidano i nostri comportamenti, e credenze in contraddizione tra di loro o rigide possono limitare il nostro agire. A volte alcune nostre affermazioni sono vere per noi o utili intese in un senso in un certo numero di situazioni, e dannose in un senso diverso in altre. Potremmo intendere modi positivi (o efficaci per i nostri obiettivi personali) di essere noi stessi, legati ad esempio al coltivare il nostro stile personale e a non imitare pedissequamente qualcuno, e modi meno utili, legati ad esempio alla rigidità del nostro punto di vista.

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