Problemi da grandi… soluzioni da bambini?

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”

Antoine de Saint-Exupéry

 

Ci sono paure che avevamo da piccoli, che abbiamo imparato ad affrontare e vincere. Ci sono invece delle paure che abbiamo imparato da grandi, dopo essere rimasti scottati dai nostri errori

Ci sono problemi complicati che l’ingenuità di un bambino potrebbe disarmare, proprio perché la costruzione di questi problemi presuppone un certo livello di conoscenza che ci porta a ritagliare la realtà osservata in un certo modo. Così, c’è chi ha smesso di cercarsi un lavoro perché ha “imparato” che in questa fase storico-economica non se ne trova, o chi ha smesso di cercare nuove amicizie perché ha “scoperto” quanto la gente sia falsa e non ne valga la pena.

Il pensiero strategico suggerisce che a volte le soluzioni più efficaci ai problemi complessi sono quelle apparentemente semplici. A questo proposito l’antica arte militare cinese ha messo a punto degli stratagemmi: strategie per ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.

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Conosci te stesso… guardando fuori?

Spesso le parole cambiano il loro significato nel tempo. E spesso vengono fraintese.

La frase antica “conosci te stesso” viene a volte interpretata come il consiglio di guardarsi dentro per capirsi.

Pare che tale sentenza religiosa antica, iscritta nel tempio di Apollo a Delfi, suggerisse agli uomini di riconoscere la loro limitatezza rispetto alla divinità, non di fare dell’introspezione.

A quale esigenza potrebbe rispondere invece questa “riflessione interiore”? Forse essa si aggrappa alla non falsificabile, e neppure verificabile tesi che, per risolvere i propri problemi, noi dobbiamo scoprirne le cause, e per farlo dobbiamo guardarci dentro. E cosa troveremo?

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Le obiezioni… qualcosa di personale?

La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade

Aldous Huxley

 

Le obiezioni: pericolose nemiche o nostre alleate? Anche se non siamo venditori o non ci occupiamo di pubbliche relazioni, possiamo sostenere che non ne incontriamo sul nostro cammino extraprofessionale, rivolte a noi o alla nostra idea? Il venditore e il cliente non sono ancora delle persone, con le loro emozioni, e il loro lato relazionale in gioco?

Partiamo dal contesto della vendita, indicando le parole del formatore Cesare Sansavini: “I più grandi venditori hanno l’abilità di trasformare le domande più ostili in opportunità di vendita”.

Se non sentiamo l’esigenza di convincere o persuadere qualcuno della bontà della nostra idea solo nella vendita, ma in svariate situazioni nella vita quotidiana, allora questo non è un problema solo commerciale, ma genuinamente umano.

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Si possono trasformare le critiche in risorse? – ultima parte

Più stupido lo stupido o chi dice stupido allo stupido?

Al di là del fatto che esista o meno una vera intelligenza misurabile con test non influenzati culturalmente (provate a stabilire quanto è intelligente l’indigeno che non ha risposto alle domande di un test e quanto è “stupido” uno studente dotato di 160 di Q.I. nel districarsi e sopravvivere in una foresta sperduta nel mondo), anche grazie agli studi neurofisiologici sulla plasticità neurale non si potrebbe affatto sostenere che l’intelligenza sia totalmente innata. Piuttosto, più si pratica una materia o disciplina, e più la si impara, e più l’impressione degli osservatori è che noi siamo molto intelligenti e abili, o dotati, mentre le rappresentazioni neurali e le sinapsi relative si incrementano. Quindi sarebbe più plausibile l’affermazione che siamo tutti intelligenti in quello che sappiamo fare meglio, più di altri che lo fanno male, e meno di quelli che sanno fare qualcosa che a noi non riesce, ma solo in quella cosa.

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Si possono trasformare le critiche in risorse?

Il giudizio e le critiche.

 

“La tendenza a giudicare gli altri è il più grande ostacolo alla comprensione e all’ascolto”.

Carl Rogers, psicologo.

 

Critiche: funzioni negative e positive.

Dietro alla parola “giudicare” usata da Rogers parrebbe esserci una connotazione negativa, forse riferendosi l’autore alle critiche improduttive, al puntare il dito su difetti e differenze. Potremmo però anche rilevare delle situazioni in cui c’è una sfumatura semantica positiva nella parola: il giudizio in quei casi potrebbe essere una valutazione in senso lato e, perché no, anche positivo.

Anche se la connotazione del giudizio fosse negativa, però, non è detto che non se ne possa guadagnare qualcosa. Di per sé la critica verso l’altro è una strategia comunicativa fallimentare, come hanno indicato a inizio ‘900 il formatore Dale Carnegie e ai giorni nostri lo psicoterapeuta Giorgio Nardone nel libro “Correggimi se sbaglio”, al di là dei possibili intenti “positivi” che possono motivare tale azione. Questo perché criticare l’altro lo può ferire o mettere sulla difensiva, suscitare risentimento e far chiudere in lui il canale dell’ascolto, nonché guastare la relazione almeno in un certo momento o situazione.

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