Si può vendere senza vendere?

L’impegno nello sviluppo delle abilità relazionali.

 

“Una persona che non sa sorridere non dovrebbe aprire un negozio”

Antico proverbio cinese

 

L’alto valore nascosto delle abilità umane: l’esperimento della biblioteca.

Alla fine degli anni ’70, in un esperimento, due gruppi di persone scelte casualmente furono riprese da una telecamera nascosta in una biblioteca mentre i libri da loro scelti venivano controllati dal personale. All’uscita veniva poi chiesto di compilare un questionario.

Nella prima condizione i bibliotecari erano tenuti a dare poca attenzione al cliente. Il risultato dei questionari fu concorde: il servizio era pessimo. La sorpresa fu che solo pochi citavano il personale tra le cause di insoddisfazione. Citarono invece: cattiva illuminazione, difficile sistema di archiviazione, etc.

Nella seconda condizione ai bibliotecari fu prescritto di essere gentili e favorire il contatto umano: sorridevano, guardavano negli occhi, chiamavano il cliente per nome, etc. Dai questionari risultò che erano quasi tutti soddisfatti del servizio. Anche in questo caso pochi citarono l’aspetto relazionale del servizio: c’era buona illuminazione, appropriata numerazione e catalogazione, etc. (L’esperimento è descritto in Alberto Fedel, Grazie per il reclamo, Franco Angeli, p. 70 e ss.).

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Nessuno mi può giudicare?

“La tendenza a giudicare gli altri è la più grande barriera alla comunicazione e alla comprensione”.

Carl Rogers

 

A volte nei gruppi di lavoro e nelle riunioni tendiamo a chiuderci e a non prestare la nostra collaborazione ai nostri colleghi perché li giudichiamo non corretti come noi, e quindi non meritevoli del nostro aiuto. Ma quando si è in una squadra, che sia sportiva o lavorativa, ci possiamo astenere dal lavorare con qualcuno degli altri? E se lo facessimo, vincerebbe la nostra moralità o il nostro egoismo?

 

Sospensione del giudizio.

Per lo studioso di creatività Edward De Bono, una delle regole da usare perché un brainstorming sia produttivo per risolvere problemi o per creare, è quello di produrre idee senza giudicarle e inibirle. Dovremmo sospendere il giudizio, perché lo scopo iniziale è produrre più idee possibili.

Senza contare che le critiche ad un’idea possono inibire qualche partecipante. Solo dopo aver prodotto tante idee si passa alla fase in cui si valutano e scelgono quelle più attuabili, gratificando tutti i partecipanti.

Se rifiutiamo o ostacoliamo sistematicamente le idee di un dato collega perché ci è antipatico, ci dimentichiamo innanzitutto che nessun tribunale ci ha investito dell’onere di fare il giudice, e in secondo luogo che rischiamo di privare la squadra di contributi utili.

Spesso inoltre è difficile distinguere i casi in cui abbiamo giudicato un’idea obiettivamente come inadeguata dai casi in cui l’abbiamo valutata male influenzati dalla nostra antipatia verso la persona che l’ha proposta.

Se siamo in posizione di leader è importante, per il bene del gruppo, non farci influenzare dalle nostre simpatie e antipatie nel giudizio sulle idee. Anche una persona antipatica può avere buone idee, e si dice che molti geni del passato sono stati ritenuti odiosi dai colleghi e collaboratori.

 

La focalizzazione positiva.

Un membro prezioso di un team è quello che sa dare il buon esempio, non quello che spinge per far valere la propria opinione ignorando quella altrui. E’ quello che stimola gli altri a dare il meglio.

Ma come è possibile che questo accada se ostacoliamo un membro del gruppo solo perché non lo riteniamo all’altezza?

Un buon membro di una squadra (e a maggior ragione un buon capitano) sa valorizzare gli elementi positivi di ognuno degli altri giocatori, in modo che ognuno contribuisca con i suoi punti forti. Se qualcuno ci sta antipatico non possiamo “buttare via tutto il pacchetto”. Quindi tanto vale sospendere i giudizi morali verso i colleghi nei momenti in cui si deve lavorare e produrre, e tenere conto il più possibile dei loro pregi più che dei difetti. A tal proposito, il saggista e filosofo Emil Cioran ha detto: “Non possiamo rinunciare ai difetti degli uomini senza rinunciare, nel contempo, alle loro virtù”.

 

Lo scopo sovraordinato comune a tutti.

Quando lavoriamo in un’azienda, in un gruppo, in una squadra, non possiamo pensare di avere degli scopi separati da quelli degli altri. Anche se i nostri modi di vedere le cose possono essere giustamente e utilmente diversi, non possiamo dimenticare che lavoriamo tutti per uno scopo comune. Molto spesso i litigi si dirimono realizzando questa pratica realtà. Non si possono combattere battaglie di idee personali con la logica della ragione e del torto. E’ più utile accettare incondizionatamente l’idea diversa dell’altro e cercare il modo di integrarla un po’ con la nostra per i fini della squadra, invece di tenerle separate e in competizione in modo sterile. Uno studioso della storia delle idee, Steven Johnson, sostiene che sono proprio gli ambienti e le piattaforme condivise ad accrescere la creatività e la redditività delle persone che vi operano. Quindi varrebbe la pena domandarsi se ostacolare la collaborazione con gli ‘antipatici’ faccia più bene o più male ai risultati complessivi del gruppo.

L’uomo dell’ultimo momento

Gestione del tempo e scadenze.

 

Se il proprio treno è in ritardo, la coincidenza partirà in perfetto orario

Legge dei treni, dalle applicazioni della legge di Murphy

 

Chi di voi è un uomo o una donna “dell’ultimo momento”, che onora le scadenze proprio alla fine, all’ultimo istante? Cosa succede quando alle azioni dell’ultimo minuto si aggiungono gli imprevisti dell’ultimo minuto? Quali strategie di gestione del tempo potreste usare?

 

“Ultimo-momentismo” + imprevisto = problemi.

Se capita un imprevisto nell’ultimo minuto utile per rispettare una scadenza, potrei non riuscire ad onorarla. Ciò può comportare un’ammenda, una sanzione, la cessazione della possibilità di esercitare un diritto. O peggio può portare via del tempo non facendoci onorare una scadenza successiva, facendo slittare pure quella con danni aggiuntivi. Senza contare il differente stato emotivo di chi onora una scadenza prima del tempo il quale può essere sbrigativo, magari, ma non frettoloso, rispetto a chi corre disperatamente in lotta contro il tempo agitato ed ansimante. Una volta in prossimità del fatidico ultimo momento la nostra attenzione e le nostre emozioni non ci permetteranno probabilmente di svolgere un lavoro accurato e preciso come vorremmo, aumentando il rischio di compiere errori o imperfezioni.

 

La lista delle “cose da fare” funziona?

Normalmente pensiamo alla gestione del tempo come al modo di elencare in agenda le azioni da compiere. Questo è corretto.

Ma possiamo gestire in maniera più strategica il nostro tempo dando un ordine di priorità agli impegni. In questo modo se avessimo qualche problema o ritardo su una voce della nostra lista, le voci non onorate per mancanza di tempo sarebbero probabilmente le ultime, meno prioritarie, con probabili costi minori rispetto alla mancata inadempienza delle prime.

 

Dalle cose da fare ai risultati da ottenere.

Il modo in cui organizzo mentalmente le cose da fare o con cui classifico gli impegni potrebbe essere efficace o meno per la produttività. Un conto è fare una lista delle cose da fare. Un altro è fare una lista delle cose da ottenere come risultati, che può portarmi ad individuare una lista di azioni maggiormente finalizzate agli obiettivi più importanti.

 

Dalla scadenza puntiforme alla scadenza allargata.

Spesso immaginiamo la scadenza come un punto nel calendario relativo al giorno ultimo per onorare un impegno, come ad esempio il 15 marzo. Ma potremmo anche allargare quella scadenza “puntiforme” in una scadenza “lineare”, che comincia il 5 marzo e finisce il 15 marzo, con giorno intermedio il 10 marzo. Allora potremmo riclassificare la scadenza del 10 marzo come giorno ultimo, e il 5 come scadenza effettiva. Se il 5 marzo per scrupolo volessimo perfezionare quel lavoro, avremmo ancora qualche giorno, fino ad arrivare al massimo al 10. A questo punto, se il 10 capitasse un imprevisto, avrei ancora qualche giorno di tempo per farvi fronte.

 

Queste sono alcune strategie per gestire il tempo e le scadenze efficacemente. Se ne conoscete o usate altre che vi fa piacere condividere, postatele!

G.I.

Esercizi per una splendida brutta figura – ultima parte

Due pesi e due misure per la bravura nostra e degli altri?

Spesso guardiamo i comportamenti e i risultati degli altri. Quando va bene lo facciamo per trarne ispirazione. Altre volte per confrontarci ed evidenziare ciò che ci manca per essere come loro. Oppure, ancora peggio, ci disperiamo per non essere ai loro livelli, pensando che non riusciremo mai ad eguagliarli.

Nel fare i confronti con gli altri, come ad esempio con quel tale compagno di corso all’università che ha studiato solo due giorni per prendere trenta, mentre noi abbiamo dovuto studiare per un mese, ci sfuggono di mente tante cose.

Una è che la gente per l’effetto della desiderabilità sociale, cioè dell’immagine positiva che vuole dare di sé, tenderà a raccontarsi in modo da fare la migliore figura possibile, tendendo consapevolmente o no ad esagerare.

Un altro aspetto è quello dell’organizzazione. Non sapremo mai se il compagno “da trenta” ha seguito e preso molti appunti e ha già studiato durante il corso, e negli ultimi due giorni ha solo ripassato. Inoltre non sapremo mai se grazie ai suoi studi superiori o alla sua passione personale il compagno fosse già esperto degli argomenti dell’esame.

Insomma è impossibile fare un confronto obiettivo tra le abilità di due persone in un compito in senso assoluto attraverso le loro performance attuali, perché ci manca la verificabilità delle informazioni riguardo al loro training.

 

La sfida più importante con se stessi.

Se essere obiettivi è impossibile, allora confrontarci con gli altri può diventare addirittura controproducente. Può essere più utile cercare di superare noi stessi.

Fare meglio ogni giorno nelle attività in cui ci applichiamo è spesso inevitabile. Nelle nostre mansioni abituali ogni giornata in cui ci adoperiamo in un’attività o esperienza non possiamo tornare indietro in termini di apprendimento.

Possiamo al limite restare ugualmente efficienti, ma è molto più probabile che faremo di più perché avremo accumulato esperienza ed attività pratica (allenamento), sapremo organizzarci meglio, e saremo più critici ed esperti sulla qualità del nostro lavoro.

Potendo rendere conto a noi stessi dei nostri risultati è possibile comprendere tutte le variabili coinvolte, operare un confronto obiettivo e partecipare ad una sfida realistica e stimolante. Da questo punto di vista la sfida più importante è quella con se stessi.

 

Allenarsi a migliori performance o a migliori brutte figure?

A volte per vincere è utile perdere. Per vincere dove si gareggia contro due avversari insieme, cioè la difficoltà di un compito e il giudizio degli altri mentre lo si esegue, può essere utile darsi la possibilità di sbagliare, o di fare brutte figure.

Se provando a fare una cosa per la prima volta mi ponessi l’obiettivo di riuscire perfettamente avrei successo? Probabilmente no. Quindi avrei poco margine di errore e la mia paura di sbagliare sarebbe alta. Una grossa fetta della mia energia verrebbe bruciata da questo pensiero e dalle relative emozioni.

Se come obiettivo invece avessi quello di fare errori o brutte figure, mi allenerei in quelle cose senza sprecare energie temendo di sbagliare, un po’ come si racconta riguardo allo stile Zen nell’arte del tiro al bersaglio giapponese, dove pare ci si alleni inizialmente a non colpire il bersaglio.

Riducendo ad un paradosso: l’arte dell’eccellere è “l’arte di fare errori provando”, riuscendo nel contempo ad utilizzare ciò che abbiamo imparato dagli errori per progredire.

Ecco allora che, contro ogni buon senso, per imparare a fare bene potremmo allenarci a fare una “splendida” brutta figura.

Esercizi per una splendida brutta figura

Prima parte.

“La vita non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con ciò che ci accade”.

Aldous Huxley

 

Immaginate un mondo in cui le brutte figure sono apprezzate. Immaginate un mondo in cui le persone non si vantano delle avventure che hanno vissuto, ma delle figuracce che hanno fatto, gonfiandole ed esagerandole.

Magari in quel mondo non esisterebbe la vergogna, oppure la si proverebbe per motivi diversi da quelli per cui la proviamo noi (magari per non avere fatto molte brutte figure!).

 

Il rapporto con gli errori e gli spettatori.

Che forma ha la minaccia? Com’è nata? Da bambini esploravamo l’ambiente, e poi magari abbiamo toccato la caffettiera e ci siamo scottati. Quindi la caffettiera è diventata una minaccia, e abbiamo imparato a starne lontani. Come ci poniamo di fronte agli errori? Evitiamo i contesti in cui possiamo sbagliare per non scottarci più? Che cosa ci ha scottato? Quello che pensiamo di noi, o quello che pensano gli altri?

 

Prepararsi all’infinito per rimandare la sfida con la brutta figura.

A volte per evitare una brutta figura, o una scarsa performance in un compito in cui non ci sentiamo abbastanza allenati o in cui abbiamo degli spettatori che percepiamo come giudicanti o esigenti, possiamo utilizzare come strategia di difesa l’evitamento. Evitiamo quindi la situazione che ci mette nella condizione di provare ansia da prestazione. Il poeta Fernando Pessoa diceva: “Porto le ferite delle battaglie evitate”. L’evitare una situazione stressante o minacciosa fa star bene al momento, ma nel futuro ci porta a rimpianti. Avendo evitato certi contesti e situazioni abbiamo anche perso molte occasioni per crescere, migliorare, conoscere gente nuova, avanzare professionalmente, etc. Forse sono i rimpianti le “ferite” di cui parlava Pessoa. Rimandare all’infinito una cosa che dobbiamo fare, quindi, non è la strategia migliore, anche perché più evitiamo, più diventa vero nella nostra mente che quell’evento è minaccioso, piuttosto che un’opportunità che possiamo cogliere.

A volte cerchiamo all’infinito informazioni su come fare bene una cosa, per sentirci pronti, leggendo magari articoli e libri. Però anche questa è una forma spesso mascherata di “rimandite”, dato che non avremo mai la quantità giusta di teoria per sentirci bravi in qualcosa. Ci sentiremo bravi solo dopo aver fatto della pratica. L’atto di acquisire teoria finché non siamo esperti ci fa cadere in un circolo vizioso che non ci porterà mai a far pratica.

 

Lao Tzu: “rispondi in maniera intelligente anche a chi ti tratta stupidamente”.

A volte evitiamo di metterci alla prova in certi compiti e situazioni perché abbiamo paura di ricevere critiche che possono farci male. Magari ne abbiamo avuto esperienza, e un certo giudizio forse non ha fatto chiudere occhio a qualcuno di noi in una qualche notte della nostra vita. Però anche qui possono esserci diverse opportunità. :

Potremmo certamente subire le critiche e i giudizi pesanti, sentendoci delle vittime inermi, impossibilitati a difenderci da queste situazioni in cui siamo incappati per sfortuna

Però potremmo anche sviluppare la capacità di “incassare” le critiche degli altri, e allenarci nel dare meno peso ai loro giudizi, in modo che le critiche con l’allenamento non ci faranno più male. Dalle risposte che diamo ai giudizi degli altri gli facciamo capire che peso gli attribuiamo. Se rispondiamo con stizza, con dispiacere o piagnucolando chi ci ha trattato “stupidamente” può sentire di essere superiore, o di avere colto nel segno, o di avere potere su di noi. Ma potremmo rispondere anche come chi non è rimasto intaccato per nulla, e farci scivolare addosso le critiche improduttive. Se pensiamo che in realtà è l’altro in difetto perché ha delle scarse abilità sociali nel momento in cui si prende la libertà di criticare pesantemente qualcuno mancando di tatto, allora possiamo avere una lettura della situazione diversa e rispondere in un modo che ci fa apparire più adattati e meno indifesi nella situazione. Quindi possiamo dare il giusto peso a certe parole, e cioè un valore basso, e rispondere agli “stupidi” esibendo l’abilità di cui difettano, cioè la buona educazione.

 

… giovedì prossimo l’ultima parte…